Il film Prendimi l’anima prodotto nel 2002, narra la profonda e tormentata storia d'amore, nata nel setting analitico, fra Carl Gustav Jung e la sua prima paziente, Sabina Spielrein, una giovane donna russa di origine ebraica, che egli curò con il metodo psicoanalitico. La vicenda provocò un vero e proprio scandalo, proprio per questo la storia della psicoanalisi ha occultato la figura di questa donna che, guarita dalla sua malattia, divenne una psicoanalista di spicco tanto da esercitare la sua influenza non solo su Jung ma anche su Sigmund Freud stesso: fu lei la prima a parlare di istinto di morte! S.Freud la cita esplicitamente in una nota di Al di là del principio di piacere nei seguenti termini: «Buona parte di questi concetti è stata anticipata da Sabina Spielrein in un suo erudito e interessante lavoro, ma che, disgraziatamente, mi appare poco chiaro. Ella definisce l'elemento sadico della pulsione sessuale come "distruttivo"».
L’amicizia tra S.Freud e C. G.Jung iniziò proprio quando il giovane psichiatra chiese al padre della psicoanalisi di aiutarlo a gestire i sentimenti per Sabina e terminò quando quest’ ultima divenne seguace e pupilla di Freud. La vicenda offrì a Freud lo spunto per considerare l’effetto che il transfert provoca sull’ analista: il controtrasfert. Roberto Faenza prende spunto proprio dal carteggio epistolare tra Sabrina Spierlein, Freud e Jung. Infatti nel 1977 venne trovata, negli scantinati dell'istituto svizzero di Psicologia, oltre al diario personale di Sabina, la corrispondenza originale tra i tre protagonisti della vicenda: Sabina Spielrein, Carl Gustav Jung e Sigmund Freud. Lo scottante scambio epistolare portava alla luce nuovi elementi sulla vita privata dei fondatori della psicoanalisi. Il cartegggio fu pubblicato solo nel 1980 a cura del prof. Aldo Carotenuto nel libro “Diario di una segreta simmetria. Sabina Spielrein tra Jung e Freud”.Da queste lettere veniva fuori una scottante vicenda sommersa: quella di Sabrina e della sua struggente storia d’amore con il suo analista. Roberto Faenza, pur non trascurando il contesto storico, si occupa con trasporto della storia d'amore e delle vicende di questa eroina della psicoanalisi, oscurata e trascurata in una storia declinata quasi sempre al maschile. I protagonisti della vicenda, Sabina e Jung, interpretati magistralmente da Emilia Fox e Ian Glein, sono descritti e rappresentati, in modo discreto e rispettoso, nelle loro debolezze umane mentre sullo schermo vibrano e palpitano le loro emozioni.
Il regista coglie in modo evocativo i punti essenziali che sin dall'inizio hanno caratterizzato e motivato il percorso della psicoanalisi: la sostanziale reciprocità della relazione analitica, la profonda inconoscibilità degli esiti delle trasformazioni che l'analisi permette e soprattutto la posizione centrale della questione dell'amore. La trama del film si svolge su due piani giustapposti che non si intrecciano mai: quello temporale e quello emotivo. Sulla vicenda reale Faenza innesta una vicenda parallela, ambientata nel presente, scialba e poco risuonante rispetto a quella storica. Infatti, la storia comincia nel presente, quando una giovane donna francese, Marie, probabile discendente di Sabina Spielrein, durante delle ricerche in una biblioteca di Mosca, sottrae il diario personale di Sabina con la quale ella ha in comune il cognome. Al professor Fraser, uno storico scozzese, che l'ha vista rubare il prezioso documento, Marie decide di raccontare il motivo del suo interesse per costei. I due decidono, così, di seguire insieme le flebili tracce lasciate dalla dottoressa.
Cominciano così a ricostruire la vita di Sabina fin dal1904, quando la ragazza appena diciottenne, affetta da una grave forma di isteria, viene ricoverata nell'ospedale psichiatrico di Burghozli, nei pressi di Zurigo, dove lavora Jung, agli albori della sua carriera psichiatrica. Jung, giovane allievo e assistente di Eugen Bleuler, prende in carico il “caso” della signorina Spielrein. In un contesto dove la malattia mentale viene considerata solo come una sindrome, dove vengono usati strumenti coercitivi per la cura, Jung sperimenta per la prima volta con Sabina il metodo freudiano delle libere associazioni. Sabina è una ragazza intelligente, sensibile, consapevole di essere in cura, desiderosa di guarire perciò collaborativa. Si affida a lui con fiducia, apre la sua mente ai ricordi dell’infanzia, confida le paure, i sogni, i desideri. Scrive Sabina sul suo diario: “La mia testa datela a Jung: solo lui la deve sezionare. Le mie ceneri seppellitele sotto una quercia, dove ci sia scritto: anch’io sono stata un essere umano” La sua personalità è organizzata difensivamente intorno ad alcuni nuclei problematici: le punizioni associate all'eccitazione sessuale, l’autoerotismo, certe tendenze masochistiche ed esibizionistiche che la inducono ad atteggiamenti provocatori e disinibiti. Per affrontare la complessità di Sabina, Jung deve fare i conti con la propria condizione: l’educazione moralistica ricevuta, il matrimonio borghese, le pulsioni personali. Per entrare nel suo mondo è costretto a rivedersi, a mettersi in gioco non come analista, bensì come un uomo che vede la propria anima proiettata in una donna. E infatti, rompe gli schemi e i limiti imposti dal setting e le dona una pietra, simbolo proprio della sua anima, chiedendole di custodirla. Con tali premesse il rischio è già a priori quello dell’innamoramento! I due spalancano le porte dell’anima al sondaggio reciproco, la contaminazione è inevitabile. Il dialogo si infittisce, essi scoprono di avere una profonda affinità culturale e spirituale. Alcuni eventi sincronici e telepatici rafforzano il loro legame e la loro intesa. Sabina migliora giorno dopo giorno, fino a quando la sua guarigione è completa. Bellissima la scena in cui Sabina, visibilmente guarita, canta e suona "Tumbalalaika", canzone d'amore russa della tradizione ebraica, accompagnata dai sorrisi e dagli applausi di tutti i malati psichiatrici della clinica e dallo stesso Jung che si farà coinvolgere nella danza, con l'evidente disapprovazione di tutti gli altri psichiatri presenti, che già allora lo consideravano un tipo bizzarro. Dopo un anno di degenza, Sabina viene dimessa dall’ospedale ma continua ad essere seguita privatamente da Jung. Dopo qualche qualche malcelata esitazione, la passione esplode e li travolge entrambi. Ma quando al culmine di un momento di intensa commozione, in cui Jung, piangendo di felicità, esprime a Sabina la profondità del suo amore, quest’ultima gli chiede un figlio, istantaneamente lui ritorna alla realtà e sconvolto, fugge. Jung è un uomo, uno studioso, in grado di addentrarsi nei varchi più bui della mente e di vivere coraggiosamente queste esplorazioni, ma su un piano puramente simbolico. Sul piano della realtà, oltre ad essere sposato, è un uomo perfettamente adattato al sistema sociale, familiare, accademico di cui è parte e di cui gode vantaggi e privilegi, incapace di affrontare uno scandalo. Così decide di chiudere la relazione. Sabrina è disperata, rasenta di nuovo il baratro della follia, ma trae forza dalla sua disperazione, abbandona le sue idee di vendetta e va avanti nella sua vita. Almeno così potrà conservare il dono più bello che lui gli abbia dato: la sua guarigione. Si laurea in medicina, si specializza in psichiatria, poi sposa un medico russo di origini ebraiche da cui ha due figlie. Però continua a tenere una fitta corrispondenza con Jung, il loro rapporto si è trasformato, ma non distrutto. Decide di tornare in Russia durante gli anni dell’utopia della Rivoluzione, con la sua famiglia va a Mosca, ove fonda e dirige brillantemente un asilo infantile: l'Asilo Bianco, dalle pareti e i mobili completamente dipinti di bianco. E’la prima scuola materna improntata su metodi didattici ispirati dalla psicoanalisi. L'istituto é fondato su principi molto moderni per l'epoca. Nell'Asilo Bianco la Spielrein ha modo di sperimentare nuovi metodi educativi, improntati allo sviluppo della creatività e della massima libertà dei bambini: insegna loro anche i primi rudimenti di educazione sessuale. In una scena molto commovente, la Spielrein riesce a far sorridere un bambino chiuso in sé stesso e profondamente triste, distraendolo con un simpatico scimpanzè. A Mosca, Sabina, aderisce anche al nascente bolscevismo, ma dovrà presto ricredersi nel momento in cui la repressione stalinista le imporrà con la forza di chiudere l'Asilo e metterà all'indice i suoi metodi educativi, considerati contrari alla morale comunista. Anche Stalin iscrive all'Asilo Bianco, sotto falso nome, il proprio figlio Vasily E' così che, morto il marito nelle cosiddette "purghe staliniane", la donna torna nella sua natia Rostov per tentare di fondare un asilo clandestino, ma nel 1942 i nazisti, che stanno avanzando in Unione Sovietica, la catturano e la trucidano assieme alle figlie ed a centinaia di altri ebrei in una sinagoga, ma Sabrina riesce a nascondere lì il suo diario intimo. Mentre a Rostow si compie la follia nazista, Jung è in “ascolto”: si sveglia dal sonno in preda al panico sente che qualcosa di terribile è successo alla donna che ama. In questa storia scandita da forti emozioni si intrecciano desiderio e conformismo sociale, amore sensuale e quello transferiale, psicoanalisi e follia. Il coraggio di Sabina che trae dall’ insostenibile dolore, derivante dalla delusione di un amore senza confini, ma senza speranza, la forza per ricostruirsi piuttosto che ricadere nel baratro della follia è un messaggio esemplare di amore per se e per la vita. Questa donna, che la storia della psicoanalisi ha trascurato, sublima il dolore nell’impegno di guarire gli altri, come il suo amato Jung aveva guarito lei.
Dott.ssa Maria Zeccato
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