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“Prendimi l’anima”: l’amore che cura.

  • Immagine del redattore: maria zeccato
    maria zeccato
  • 6 giu 2021
  • Tempo di lettura: 6 min


Il film Prendimi l’anima prodotto nel 2002, narra la profonda e tormentata storia d'amore, nata nel setting analitico, fra Carl Gustav Jung e la sua prima paziente, Sabina Spielrein, una giovane donna russa di origine ebraica, che egli curò con il metodo psicoanalitico. La vicenda provocò un vero e proprio scandalo, proprio per questo la storia della psicoanalisi ha occultato la figura di questa donna che, guarita dalla sua malattia, divenne una psicoanalista di spicco tanto da esercitare la sua influenza non solo su Jung ma anche su Sigmund Freud stesso: fu lei la prima a parlare di istinto di morte! S.Freud la cita esplicitamente in una nota di Al di là del principio di piacere nei seguenti termini: «Buona parte di questi concetti è stata anticipata da Sabina Spielrein in un suo erudito e interessante lavoro, ma che, disgraziatamente, mi appare poco chiaro. Ella definisce l'elemento sadico della pulsione sessuale come "distruttivo"».

L’amicizia tra S.Freud e C. G.Jung iniziò proprio quando il giovane psichiatra chiese al padre della psicoanalisi di aiutarlo a gestire i sentimenti per Sabina e terminò quando quest’ ultima divenne seguace e pupilla di Freud. La vicenda offrì a Freud lo spunto per considerare l’effetto che il transfert provoca sull’ analista: il controtrasfert. Roberto Faenza prende spunto proprio dal carteggio epistolare tra Sabrina Spierlein, Freud e Jung. Infatti nel 1977 venne trovata, negli scantinati dell'istituto svizzero di Psicologia, oltre al diario personale di Sabina, la corrispondenza originale tra i tre protagonisti della vicenda: Sabina Spielrein, Carl Gustav Jung e Sigmund Freud. Lo scottante scambio epistolare portava alla luce nuovi elementi sulla vita privata dei fondatori della psicoanalisi. Il cartegggio fu pubblicato solo nel 1980 a cura del prof. Aldo Carotenuto nel libro “Diario di una segreta simmetria. Sabina Spielrein tra Jung e Freud”.Da queste lettere veniva fuori una scottante vicenda sommersa: quella di Sabrina e della sua struggente storia d’amore con il suo analista. Roberto Faenza, pur non trascurando il contesto storico, si occupa con trasporto della storia d'amore e delle vicende di questa eroina della psicoanalisi, oscurata e trascurata in una storia declinata quasi sempre al maschile. I protagonisti della vicenda, Sabina e Jung, interpretati magistralmente da Emilia Fox e Ian Glein, sono descritti e rappresentati, in modo discreto e rispettoso, nelle loro debolezze umane mentre sullo schermo vibrano e palpitano le loro emozioni.

Il regista coglie in modo evocativo i punti essenziali che sin dall'inizio hanno caratterizzato e motivato il percorso della psicoanalisi: la sostanziale reciprocità della relazione analitica, la profonda inconoscibilità degli esiti delle trasformazioni che l'analisi permette e soprattutto la posizione centrale della questione dell'amore. La trama del film si svolge su due piani giustapposti che non si intrecciano mai: quello temporale e quello emotivo. Sulla vicenda reale Faenza innesta una vicenda parallela, ambientata nel presente, scialba e poco risuonante rispetto a quella storica. Infatti, la storia comincia nel presente, quando una giovane donna francese, Marie, probabile discendente di Sabina Spielrein, durante delle ricerche in una biblioteca di Mosca, sottrae il diario personale di Sabina con la quale ella ha in comune il cognome. Al professor Fraser, uno storico scozzese, che l'ha vista rubare il prezioso documento, Marie decide di raccontare il motivo del suo interesse per costei. I due decidono, così, di seguire insieme le flebili tracce lasciate dalla dottoressa.

Cominciano così a ricostruire la vita di Sabina fin dal1904, quando la ragazza appena diciottenne, affetta da una grave forma di isteria, viene ricoverata nell'ospedale psichiatrico di Burghozli, nei pressi di Zurigo, dove lavora Jung, agli albori della sua carriera psichiatrica. Jung, giovane allievo e assistente di Eugen Bleuler, prende in carico il “caso” della signorina Spielrein. In un contesto dove la malattia mentale viene considerata solo come una sindrome, dove vengono usati strumenti coercitivi per la cura, Jung sperimenta per la prima volta con Sabina il metodo freudiano delle libere associazioni. Sabina è una ragazza intelligente, sensibile, consapevole di essere in cura, desiderosa di guarire perciò collaborativa. Si affida a lui con fiducia, apre la sua mente ai ricordi dell’infanzia, confida le paure, i sogni, i desideri. Scrive Sabina sul suo diario: “La mia testa datela a Jung: solo lui la deve sezionare. Le mie ceneri seppellitele sotto una quercia, dove ci sia scritto: anch’io sono stata un essere umano” La sua personalità è organizzata difensivamente intorno ad alcuni nuclei problematici: le punizioni associate all'eccitazione sessuale, l’autoerotismo, certe tendenze masochistiche ed esibizionistiche che la inducono ad atteggiamenti provocatori e disinibiti. Per affrontare la complessità di Sabina, Jung deve fare i conti con la propria condizione: l’educazione moralistica ricevuta, il matrimonio borghese, le pulsioni personali. Per entrare nel suo mondo è costretto a rivedersi, a mettersi in gioco non come analista, bensì come un uomo che vede la propria anima proiettata in una donna. E infatti, rompe gli schemi e i limiti imposti dal setting e le dona una pietra, simbolo proprio della sua anima, chiedendole di custodirla. Con tali premesse il rischio è già a priori quello dell’innamoramento! I due spalancano le porte dell’anima al sondaggio reciproco, la contaminazione è inevitabile. Il dialogo si infittisce, essi scoprono di avere una profonda affinità culturale e spirituale. Alcuni eventi sincronici e telepatici rafforzano il loro legame e la loro intesa. Sabina migliora giorno dopo giorno, fino a quando la sua guarigione è completa. Bellissima la scena in cui Sabina, visibilmente guarita, canta e suona "Tumbalalaika", canzone d'amore russa della tradizione ebraica, accompagnata dai sorrisi e dagli applausi di tutti i malati psichiatrici della clinica e dallo stesso Jung che si farà coinvolgere nella danza, con l'evidente disapprovazione di tutti gli altri psichiatri presenti, che già allora lo consideravano un tipo bizzarro. Dopo un anno di degenza, Sabina viene dimessa dall’ospedale ma continua ad essere seguita privatamente da Jung. Dopo qualche qualche malcelata esitazione, la passione esplode e li travolge entrambi. Ma quando al culmine di un momento di intensa commozione, in cui Jung, piangendo di felicità, esprime a Sabina la profondità del suo amore, quest’ultima gli chiede un figlio, istantaneamente lui ritorna alla realtà e sconvolto, fugge. Jung è un uomo, uno studioso, in grado di addentrarsi nei varchi più bui della mente e di vivere coraggiosamente queste esplorazioni, ma su un piano puramente simbolico. Sul piano della realtà, oltre ad essere sposato, è un uomo perfettamente adattato al sistema sociale, familiare, accademico di cui è parte e di cui gode vantaggi e privilegi, incapace di affrontare uno scandalo. Così decide di chiudere la relazione. Sabrina è disperata, rasenta di nuovo il baratro della follia, ma trae forza dalla sua disperazione, abbandona le sue idee di vendetta e va avanti nella sua vita. Almeno così potrà conservare il dono più bello che lui gli abbia dato: la sua guarigione. Si laurea in medicina, si specializza in psichiatria, poi sposa un medico russo di origini ebraiche da cui ha due figlie. Però continua a tenere una fitta corrispondenza con Jung, il loro rapporto si è trasformato, ma non distrutto. Decide di tornare in Russia durante gli anni dell’utopia della Rivoluzione, con la sua famiglia va a Mosca, ove fonda e dirige brillantemente un asilo infantile: l'Asilo Bianco, dalle pareti e i mobili completamente dipinti di bianco. E’la prima scuola materna improntata su metodi didattici ispirati dalla psicoanalisi. L'istituto é fondato su principi molto moderni per l'epoca. Nell'Asilo Bianco la Spielrein ha modo di sperimentare nuovi metodi educativi, improntati allo sviluppo della creatività e della massima libertà dei bambini: insegna loro anche i primi rudimenti di educazione sessuale. In una scena molto commovente, la Spielrein riesce a far sorridere un bambino chiuso in sé stesso e profondamente triste, distraendolo con un simpatico scimpanzè. A Mosca, Sabina, aderisce anche al nascente bolscevismo, ma dovrà presto ricredersi nel momento in cui la repressione stalinista le imporrà con la forza di chiudere l'Asilo e metterà all'indice i suoi metodi educativi, considerati contrari alla morale comunista. Anche Stalin iscrive all'Asilo Bianco, sotto falso nome, il proprio figlio Vasily E' così che, morto il marito nelle cosiddette "purghe staliniane", la donna torna nella sua natia Rostov per tentare di fondare un asilo clandestino, ma nel 1942 i nazisti, che stanno avanzando in Unione Sovietica, la catturano e la trucidano assieme alle figlie ed a centinaia di altri ebrei in una sinagoga, ma Sabrina riesce a nascondere lì il suo diario intimo. Mentre a Rostow si compie la follia nazista, Jung è in “ascolto”: si sveglia dal sonno in preda al panico sente che qualcosa di terribile è successo alla donna che ama. In questa storia scandita da forti emozioni si intrecciano desiderio e conformismo sociale, amore sensuale e quello transferiale, psicoanalisi e follia. Il coraggio di Sabina che trae dall’ insostenibile dolore, derivante dalla delusione di un amore senza confini, ma senza speranza, la forza per ricostruirsi piuttosto che ricadere nel baratro della follia è un messaggio esemplare di amore per se e per la vita. Questa donna, che la storia della psicoanalisi ha trascurato, sublima il dolore nell’impegno di guarire gli altri, come il suo amato Jung aveva guarito lei.

Dott.ssa Maria Zeccato





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                                                                                      RIFLESSIONI

Non c’è niente da aggiungere a ciò che sei, c’è solo da togliere. Plotino diceva: “Ogni giorno scolpisci la tua statua”. E come? Togliendo tutto ciò che è inutile, prima di tutto l’idea che hai di te, l’idea di quello che DEVI essere.

È importante smettere di cercare costantemente l'approvazione degli altri, di spiegare i nostri comportamenti e il nostro modo di essere. Dobbiamo impegnarci ad essere accolti per ciò che realmente siamo, senza dar troppo peso ai rimproveri e alle critiche, che spesso ci fanno sentire sbagliati. Dobbiamo cambiare prospettiva e considerare che forse sono gli altri che non hanno voluto davvero capire, che il loro giudizio affrettato è frutto del loro egoismo e invidia, piuttosto che del desiderio di comprensione reciproca. È più facile giudicare che mettersi in ascolto e cercare di comprendere.

Spesso, quando compiamo azioni di gentilezza o aiutiamo qualcun altro, ci aspettiamo un riconoscimento o almeno una piccola ricompensa. Tuttavia, molte volte siamo mossi semplicemente dalla gratificazione di essere utili e di fare qualcosa per migliorare lo stato d'animo o la situazione di un'altra persona. Questo concetto può essere difficile da far comprendere agli altri perché non tutti considerano tali comportamenti come qualcosa di scontato.

Mi sono sempre sentita priva di valorizzazione, spesso considerandomi sbagliata, cretina o inadeguata. Penso che molti vivano questa condizione psicologica, e anch'io faccio parte di questa numerosa platea. Essere consapevoli di fare del bene o ricevere complimenti non basta a farci sentire apprezzati. Tuttavia, tali esperienze servono a noi stessi per liberarci da pesanti etichette che ci definiscono come incapaci, cretini o inadeguati.

Il ruolo della famiglia nella nostra crescita e sviluppo psicologico è fondamentale, poiché i rapporti con genitori, fratelli e sorelle influenzano profondamente la nostra formazione, sia durante l'infanzia che nell'età adulta. A volte, senza volerlo, possono crearsi degli stereotipi che ci dipingono come incapaci o inadeguati, e queste dinamiche possono portare a insicurezze che ci accompagnano per gran parte della nostra vita.

Riflettiamo sulle ragioni di questo comportamento, cercando di capire perché hanno agito così ripetutamente. Forse il loro atteggiamento non era intenzionale per farci del male, ma comunque ha provocato delle ferite. Ci chiediamo se lo facevano per sentirsi migliori o superiori, oppure se semplicemente non ci capivano. Ma tutto ciò appartiene al passato, e dovremmo rispondere a queste domande per chiudere un capitolo e guardare avanti.

È il momento di darci un taglio, di lasciar andare queste esperienze passate. Dimentichiamo, nel senso di non permettere che ci influenzino negativamente nel presente. Mettiamo questi ricordi nel cassetto dei ricordi, senza lasciarli dominare la nostra vita attuale. Dobbiamo imparare a valorizzarci, a vedere il nostro vero valore e a superare gli stereotipi che ci sono stati attribuiti. Solo così potremo costruire una visione positiva di noi stessi e andare avanti nella vita con fiducia e serenità.

È veramente difficile farlo perché questo comportamento non solo ci ha fatto soffrire ma ha condizionato gran parte delle nostre scelte passate e presenti.

Forse un piccolo spiraglio non irragiungibile ma difficile è proprio quello di cominciare a scolpire oggi la nostra statua cercando di amare dal profondo la materia che stiamo utilizzando.

Non bisogna fare tutto e di più ma fare il possibile senza fretta. Realizzare se stessi non è un obiettivo, ma un viaggio. Una ferita può diventare l’emblema del nostro essere più autentico.

Le ferite e i dolori che ho attraversato non mi hanno resa una persona diffidente, né hanno cambiato il mio carattere o il modo di agire. Al contrario, mi hanno insegnato a valutare e apprezzare ogni piccolo passo avanti nella mia crescita personale. Queste esperienze mi hanno resa più forte e mi hanno permesso di guarire da sola, senza dipendere dagli altri per superare le difficoltà.

Mi hanno insegnato l'importanza di accettare il dolore come parte integrante della vita. Ho imparato che il dolore fa parte del cammino di crescita e sviluppo personale, e che può insegnarci preziose lezioni. Ho imparato a guardare al passato con compassione anziché rabbia, e a vedere le ferite come opportunità di crescita e trasformazione.

Non ho permesso che le ferite mi definissero o mi imprigionassero in una mentalità negativa. Al contrario, ho scelto di prendermi cura di me stessa, di guarire e di crescere da queste esperienze. Ho imparato a riconoscere il mio valore e a nutrire una sana autostima, basata sulla consapevolezza dei miei punti di forza e delle mie capacità.

Ogni giorno cerco di coltivare la gratitudine per ciò che ho e per le lezioni che ho imparato lungo il percorso. So che il dolore può essere un insegnante prezioso e che può guidarmi verso una maggiore comprensione di me stessa e degli altri. Invece di chiudermi nel dolore, ho scelto di aprirmi alla vita e di abbracciare le sfide che mi si presentano.

Le ferite possono essere difficili da affrontare, ma ho imparato che possono anche essere un trampolino di lancio per la crescita e l'autorealizzazione. Sono grata per tutto ciò che ho vissuto e per le esperienze che mi hanno reso la persona che sono oggi. Sono consapevole che il cammino della vita è fatto di alti e bassi, e mi impegno a navigarlo con coraggio, resilienza e un cuore aperto.

Evitare il dolore e ciò che ci fa male può sembrare un istinto naturale per proteggerci da ulteriori ferite. Tuttavia, ho imparato che chiuderci a chiave per timore di essere feriti di nuovo non è la risposta. Ognuno di noi è un individuo unico, e il fatto che qualcuno ci abbia ferito in passato non significa che tutti gli altri faranno lo stesso.

È importante riconoscere che ogni persona è diversa, con le proprie esperienze di vita, punti di vista e modi di essere. Non possiamo giudicare gli altri sulla base delle ferite che abbiamo subito da qualcun altro. È un'ingiustizia per loro e per noi stessi. Dobbiamo essere aperti a conoscere le persone per quello che sono veramente, senza sovrapporre le nostre aspettative o desideri su di loro.

Non possiamo dipingere le persone a nostro piacimento, come se fossero dei quadri da completare. Ognuno di noi è un lavoro in corso, con le proprie sfumature e imperfezioni. È necessario accettare gli altri per quello che sono e concedere loro il tempo e lo spazio per rivelarci i loro colori autentici.

Sarà l'esperienza con gli altri a donarci i colori della relazione, con le sfumature dei comportamenti e delle interazioni. È attraverso queste esperienze che possiamo costruire connessioni significative e sviluppare relazioni autentiche. Non possiamo forzare il processo, ma possiamo essere aperti a lasciarci sorprendere dagli altri e a permettere che le relazioni si sviluppino naturalmente.

Invece di temere il dolore o chiuderci, dobbiamo imparare a essere coraggiosi e a mantenere il cuore aperto. Ci saranno momenti in cui potremmo essere feriti nuovamente, ma ciò fa parte della vita e del processo di crescita. Ogni esperienza ci insegna qualcosa di prezioso e ci aiuta a diventare persone più sagge e compassionate.

Quindi, non dobbiamo aver paura di aprirci agli altri, di conoscerli veramente e di essere con loro nelle diverse sfumature della vita. Dobbiamo lasciare che siano loro a donarci i colori, mentre noi accettiamo e apprezziamo la bellezza e la complessità di ogni individuo che incontriamo lungo il nostro cammino.

Ognuno di noi è umano e, di conseguenza, nessuno è esente dagli errori o perfetto, neanche noi stessi. Questa consapevolezza ci invita a comprendere gli altri senza mascherare i loro difetti o enfatizzare eccessivamente i loro pregi. È fondamentale essere onesti e chiari nella valutazione delle persone che abbiamo di fronte, mettendo sulla bilancia sia i pregi che i difetti.

Quando entriamo in relazione con qualcuno, è essenziale cercare di vedere la persona per ciò che realmente è, senza sovrapporre idealizzazioni o giudizi preconcetti. Dobbiamo essere aperti a conoscere sia gli aspetti positivi che quelli meno positivi, perché solo così possiamo avere una percezione realistica dell'altro.

Valutare con chiarezza chi abbiamo di fronte significa essere consapevoli delle caratteristiche e delle peculiarità dell'individuo. Non dobbiamo cercare di mascherare o nascondere i suoi difetti, ma neanche esaltare eccessivamente solo i suoi pregi. Questo approccio ci consente di vedere l'intera persona e di stabilire un rapporto basato sulla comprensione autentica.

Quando prendiamo coscienza delle qualità positive e dei difetti di qualcuno, possiamo fare una scelta consapevole su come proseguire la nostra interazione con quella persona. Se i pregi superano i difetti, possiamo decidere di continuare la frequentazione con sincerità e apertura. In questo modo, possiamo beneficiare della conoscenza reciproca e imparare e crescere insieme.

D'altra parte, se la bilancia pende troppo verso i difetti e gli aspetti negativi superano quelli positivi, potremmo essere chiamati a riflettere e decidere se quella relazione è davvero sana e benefica per entrambi. In alcuni casi, potrebbe essere necessario stabilire dei confini o prendere decisioni più drastiche per proteggere noi stessi e la nostra salute emotiva.

Pertanto, la chiarezza di chi abbiamo di fronte ci permette di vedere le persone nella loro interezza, senza filtri o maschere. Questo approccio ci aiuta a costruire relazioni sincere e autentiche, basate sulla comprensione reciproca e sul rispetto per ciò che ciascun individuo è veramente. Accogliere l'altro nella sua completezza, con pregi e difetti, ci offre l'opportunità di crescere e imparare insieme, promuovendo un legame genuino e duraturo. 

La reciproca comprensione e il rispetto sono pilastri fondamentali in una relazione sana. Quando ci troviamo di fronte a una persona che non riesce a comprendere le nostre azioni, che giudica sommariamente i nostri comportamenti o massacra le nostre idee, è importante prendere consapevolezza di questa dinamica e considerare se sia davvero il percorso migliore per noi.

Ogni nostra azione dovrebbe essere ricevuta con una certa apertura e comprensione, senza il bisogno costante di doverla spiegare in modo puntiglioso. Un rapporto basato sulla fiducia e sull'empatia consente di comunicare liberamente e di esprimere i propri pensieri e sentimenti senza il timore di essere giudicati o fraintesi.

D'altro canto, la persona che abbiamo di fronte dovrebbe essere altrettanto disponibile a comprenderci e ad entrare in empatia con noi. Se costantemente ci giudica o ci ferisce con le sue parole e azioni, questo può avere un impatto negativo sulla nostra autostima e sulla salute della relazione stessa.

Se il rapporto con questa persona diventa troppo dannoso e non ci sentiamo valorizzati o rispettati, potrebbe essere il momento di prendere in considerazione un cambiamento di strada. La nostra salute emotiva è importante e dobbiamo proteggerci da situazioni che ci procurano solo ulteriori ferite.

Una delle forme più profonde di amore è volere il bene dell'altro. Imparare ad amare noi stessi è cruciale per la nostra felicità e benessere. Dobbiamo imparare a volerci bene e a trattarci con rispetto e gentilezza, come faremmo con una persona cara. Amare noi stessi ci permette di stabilire relazioni più sane e gratificanti con gli altri, perché siamo in grado di dare e ricevere amore in modo autentico e genuino.

In conclusione, è essenziale cercare relazioni in cui c'è spazio per la comprensione reciproca, il rispetto e l'empatia. Se una persona ci giudica costantemente o non è disposta a comprenderci, potrebbe essere opportuno considerare se sia il percorso migliore per noi. Dobbiamo imparare a volerci bene e a trattarci con amore e gentilezza, affinché possiamo costruire relazioni sane e gratificanti, in cui il bene di entrambi sia una priorità.

Nunzia Cangiano

 

 

 

 

                                                                                        LA MUSICA PER ME

 

Spesso mi trovo a fare un semplice confronto tra uno spartito ed una pagina di romanzo: entrambi raccontano una storia, chi con parole chi con dei suoni, quando si legge una pagina di romanzo ad alta voce è bene mettere la corretta enfasi su ogni parola, frase, e periodo. L'autore vuole comunicare, oltre che un evento, uno stato d'animo, un' emozione che conferisce a quell'evento un valore aggiuntivo. Ecco, la musica è la sublimazione di quello stato d'animo, ogni suono espresso con il giusto patos, unito alla moltitudine delle altre note crea un vortice di emozioni e sensazioni che nessun'altra forma d'arte può provocare.
Quando suono uno spartito, dentro di me vibrano le corde del mio cuore, e risuonano in armonia con quelle della chitarra che ho poggiata sul petto, come fosse essa stessa parte del miocardio, mettendo in ogni suono un po' della mia anima. Qui sta la differenza nell'ascoltare un musicista dal vivo e quella del sentirlo attraverso un apparecchio: l'anima.
Scrivere un romanzo non è diverso dal comporre un brano: lo scrittore ha 26 lettere, il musicista 12 suoni; il primo ha tante lingue, il secondo ha tanti strumenti; il primo ha pagine, righe o tastiere: il secondo ha pentagrammi, setticlavio, e... Tastiere.
L'improvvisazione, poi, è come scrivere a getto l'idea per un racconto o fondere il proprio con quello degli altri creando turbini emotivi.
Concludo dicendo che se potessi fare un' analogia direi che il musicista è uno scrittore la cui anima è l'inchiostro e il cui strumento è la pagina bianca, da riempire di note, fraseggi e suoni per creare un opera d'arte che rivive ogni volta che la si ascolta
Matteo Ferri.

Matteo Ferri
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